Shen Yang

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📰 “Le Non Volute”

Il Foglio

Original article from “Il Foglio” (Italian national newspaper)

By Vittorio Bongiorno

Shen Yang ha infranto la legge nascendo. Per il governo cinese era una figlia di troppo. La sua vicenda è quella di milioni di bambine. Un memoir.

Ogni vita è un romanzo. E la vita di Shen Yang, una ragazza nata nella provincia orientale cinese di Shandong nel 1986, potrebbe essere un romanzo di Emmanuel Carrère: secondo il suo passaporto si chiama Wu Shanying e sarebbe nata nel 1984 in un luogo completamente diverso. Ma per la burocrazia cinese, Shen Yang non è mai esistita. Eppure Shen Yang, quella vera, ha scritto un libro su di sé, la vera Shen Yang, anche se legalmente non esiste. Il libro, uscito con successo l’anno scorso in Inghilterra per Balestier Press (tradotto da Nicky Harman e ancora inedito in Italia), racconta di come sia stata abbandonata dai genitori in quanto “figlia in eccesso”, come milioni di altri bambini nati in Cina negli anni Ottanta e Novanta. E di come, dopo un viaggio interiore in una foresta oscura durato quasi trent’anni, la ragazza si sia ripresa la sua identità proprio scrivendo un libro su sé stessa. Anche se sul suo passaporto c’è ancora l’altro nome.

Ho parlato con lei via Skype qualche giorno fa, dalla casa di Shanghai dove vive con il marito, un giovane designer pugliese che da quasi una decina d’anni lavora in Cina. I due si sono sposati nel 2012 a Bari, la ragazza è molto legata alla città e alla sua famiglia acquisita. Ma Shen Yang, quella vera, per il governo cinese ufficialmente non esiste (e nemmeno suo marito, per la verità).

“Siccome ero nata a Capodanno mi hanno dato un nome caldo, Yangyang, Sole”, si apre il memoir di Shen Yang

“More Than One Child. Memoirs of an Illegal Daughter” (“Più di Una Bambina. Memo- rie di una Figlia Illegale”), si apre nel primo capitolo con un pugno ben piazzato allo stomaco: “Siccome ero nata a Capodanno mi hanno dato un nome caldo, Yangyang, o Sole. Ma non ero certo un piccolo raggio di sole, per la mia famiglia. Avevo una sorella di quattro anni maggiore di me, così ho infranto la legge semplicemente nascendo. Se le Autorità di Pianificazione Familiare avessero scoperto la mia esistenza mia madre sarebbe stata portata in ospedale per la chiusura delle tube, e la mia famiglia sarebbe stata multata”.

La storia di Shen Yang, per gli amici Yangyang e per la burocrazia Wu Shanying, è un memoir, una storia vera, che racconta le vicende a tratti drammatiche, a tratti anche esilaranti, di una bambina nata durante la politica del Figlio unico. La campagna fu introdotta nel 1971 e ufficialmente attuata nel 1982 dal successore di Mao, Deng Xiaoping, per evitare la sovrappopolazione del paese e contenerne la crescita indiscriminata. I metodi per ottenere risultati furono multe, con- trolli di polizia e aborti forzati. Fu però un contraccolpo spaventoso, per la crescita del paese: stando al detto di Confucio “più bambini significa più felicità”, le maglie di questa assurda legge cominciarono ad allargarsi, seppur lentissimamente. L’invecchiamento della popolazione rischiava di rallentare troppo la crescita economica, così dal 2016 fu permesso alle coppie di avere “fino a due figli”, e dal maggio del 2021 “fino a tre figli”.

Il governo adesso ha proposto una campagna di intervento per ridurre gli aborti non pianificati tra adolescenti e donne non sposate

Anche di recente, al fine di “migliorare la salute riproduttiva” la China Family-Planning Association, sostenuta dal governo, ha proposto una campagna di intervento per ri- durre gli aborti non pianificati tra adolescenti e donne non sposate: aumentare i tassi di natalità bassissimi è ormai diventata una misura necessaria, in totale controtendenza alla campagna del “figlio unico”. Ma Shen Yang, quella vera, continua a non esistere.

“Una volta una scrittrice mi disse che Shen Yang è un nome troppo grande da portare (per via dell’omonima città), e che avrei dovuto trovarmi uno pseudonimo. Ma sono nata con questo nome! Io mi presento come Shen Yang, chi se ne frega dei documenti o della geografia!”, esplode lei con una risata. Nonostante l’esile silhouette e il volto da bambina, Shen Yang è un fiume in piena, parla un ottimo inglese e interrompe il marito che mi sta traducendo il nome: “Posso parlare io di me stessa?” e poi esplode in una grassa risata.

Con un po’ di imbarazzo le chiedo cosa si provi a vivere con due identità, e lei non ci pensa nemmeno un istante a rispondermi. “Ormai ci sono abituata, ma non sono io. E il mio nome non voglio nemmeno cambiarlo con un altro. E visto che nella mia famiglia il mio nome non esiste, voglio farlo esistere nel mio libro”.

Già, la famiglia. La prima figlia era nata quattro anni prima. I genitori però volevano a tutti i costi un maschio, per tramandare il loro nome, ma nel 1986 nasce lei, Shen Yang detta Yangyang. Non volendo rischiare di essere multati, né tantomeno la sterilizzazione della madre, portano la bimba dai nonni ma- terni, nel villaggio di Sunzha, sempre nella provincia dello Shandong, e in pratica si dimenticano di lei.

I due anziani nonni coccolano e viziano la bambina, e le perdonano le classiche marachelle della sua età. I genitori intanto provano ad avere il figlio maschio, che non ne vuole sapere di fare la sua comparsa: nasce una terza sorella, che viene affidata ai nonni paterni, e, beffa del destino, nasce una quarta bimba, che viene mandata dai nonni materni insieme a Yangyang. Lei è immediatamente scioccata dall’arrivo di questo ospite indesiderato. Comincia a fare capricci e dispetti, ed è la fine di un idillio: Yangyang viene affidata, a malincuore, all’arcigna zia Wenjie, sorella del padre, perché la nonna non ce la fa a stare dietro a due bimbe. “Era il 1989, la calma prima della tempesta”, scrive Shen Yang nel suo libro, “il mostriciattolo dalla faccia viola non solo aveva rubato l’amore dei miei nonni, ma aveva anche rubato il mio posto nel letto di famiglia. La detestai in quel momento”.

Qualche anno dopo le due sorelle “in eccesso” vengono scoperte, e la famiglia viene multata pesantemente, fino a veder pignorati i mobili. “Dopo la quarta figlia mio padre avrebbe dovuto farsi sterilizzare”, racconta lei con tono amaro, “ma siccome ne andava della sua virilità, da vero uomo qual è, ha costretto mamma a farlo”. Quando finalmente il debito è esaurito le due bimbe vengono iscritte nell’Hukou di famiglia, il libretto di residenza della Repubblica Popolare Cinese, senza il quale non vi è accesso all’assicurazione sanitaria, al sistema scolastico e a quello pensionistico. Ma in quel libretto, a tutt’oggi, il nome Shen Yang non esiste.

Per Yangyang inizia la nuova vita con la zia a Nanyang, una città della Cina centro orientale da dieci milioni di abitanti, a più di cinquecento chilometri di distanza dai nonni. La nuova vita è un incubo. Zia Wenjie la insulta continuamente, ribattezzandola “dannata marmocchia”, e si ritrova a vivere in un campo minato emotivo dove basta niente per far detonare l’ira e le sberle, degli zii e dei cugini. Quando si becca gli orecchioni viene persino accusata dalla zia di negligenza. I genitori biologici, nel frattempo, si sono letteralmente dimenticati di lei.

Pur di mandarla a scuola zia Wenjie riesce a comprare un Hukou fasullo, dove risulta senza genitori e nipote della moglie del fratello dell’apatico zio, il quale ha pure l’idea di registrarla come nata due anni prima, per permetterle, bizzarria nella follia, di andare in pensione prima. Ma soprattutto le viene affibbiato l’ambiguo nome di Wu Shanying, la cui pronuncia somiglia a un altro insop- portabile nome: “aquila della montagna”. La ragazzina impara a odiare quel nome fin dal primo giorno. I compagni di scuola la pren- dono di mira, con un nome così strambo, ma lei ha la corazza dura e risponde per le rime. Anzi, si oppone con forza ai soprusi nei suoi confronti e nei confronti dei suoi due insepa- rabili amici, Wei Wunjun, una bimba con l’idrocefalo, e Lü Yangguang, il “ragazzo del sole”.

I capitoli del libro che raccontano questi anni sono forse i più feroci e intensi, e forni- scono un resoconto vivido del viaggio di questa eroina attraverso l’orrore di un’infanzia cancellata, ma sempre alla ricerca di un riscatto per affermare la propria identità. A parlarci ora, con Shen Yang, si percepiscono una vitalità irresistibile e una simpatia trascinante, che la fanno esplodere spesso in risate fragorose e battute spassose. “Su tutti i documenti sono Wu Shanying, e cambiare ora sarebbe troppo complicato. Dovrei perfino cambiare il documento di matrimonio in Italia”, ridacchia lei guardando con sfida il marito Gabriele. “Anni fa volevo prendere la vostra nazionalità per vedere il mondo senza visti, ma in fondo è stato un bene non farlo: una volta uscito il libro mi avrebbero accusata di essere una voltagabbana e traditrice della Cina. E io sono contenta di essere una cinese con un nome di merda”. E scoppia a ridere di gusto.

Le chiedo se i parenti hanno letto il libro. Lei fa un sospiro serio, ma poi scoppia a ridere di nuovo. “Mio padre non parla inglese ma è meglio che non l’abbia letto altrimenti mi avrebbe fatta a pezzi! C’è un capitolo dedicato a certe brutte verità su di lui. Io volevo fare la scrittrice e lui mi diceva che ciò che scrivevo era una merda, che ero una persona inutile. Fanculo, scompari, mi ripeteva in continuazione”.

La sua seconda vita inizia con la zia a Nanyang, una città da dieci milioni di abitanti, a più di cinquecento chilometri di distanza dai nonni

Nonostante le sue risate, ascoltare i suoi racconti è un colpo al cuore. E alla fine della chiacchierata fa piacere sapere che almeno la madre e le sorelle, che hanno letto l’originale in cinese, l’hanno conosciuta meglio e incoraggiata ad andare avanti. Cosa che lei ha fatto con caparbietà: prima imparando l’inglese, che le ha permesso di comunicare col giovane designer pugliese all’Expo di Shanghai nel 2010, poi frequentando l’università di Pechino per un corso di sceneggiatura (che aveva già approfondito con un videocorso del mitico Syd Field).

Se la vita di Shen Yang fosse un film sarebbe la storia di un grande riscatto, insieme personale e generazionale. Si calcola che la generazione “fantasma”, nata dal Piano di Pianificazione Familiare, sia di almeno tredici milioni di bambini e bambine dimenticati, scomparsi, inesistenti.

Una di queste, Margaret MacNeil, è recentemente diventata “famosa” dopo aver vinto la medaglia d’oro alle olimpiadi di Tokyo del 2020 nei “100 metri Farfalla”: abbandonata anche lei dai genitori biologici in un orfanotrofio nel 2000 a Jiujiang, provincia di Jian- gxi, è stata adottata insieme alla sorella minore da una coppia canadese, e oggi si sente canadese a tutti gli effetti. “Sono canadese e sono sempre stata canadese”, ha dichiarato in un’intervista dopo il premio, “quindi la Cina è solo una piccola parte del mio viaggio verso dove sono oggi. E’ un po’ irrilevante, quando si tratta di nuotare”.

E anche per Shen Yang sembra essere più importante il viaggio in sé, piuttosto che l’origine. “Credimi”, fa lei sbuffando, “dopo 36 anni mi ci sono abituata. Chi se ne frega! Sono Wu Shanying, sono Shen Yang, posso essere chiunque io voglia. Io sono una barese!”.

Per questa straordinaria giovane donna scrivere il libro ha soprattutto rappresentato la resa dei conti con il suo passato, ma anche la possibilità di dare alle storie di quei milioni di bambini e bambine “in eccesso” un posto nella memoria collettiva nazionale cinese.

“Ho detto addio alla mia infanzia. A un passato che non è più. Un riconciliarmi con le persone proprio grazie alla scrittura”

“Ho detto addio alla mia infanzia. A un passato che non è più. Un riconciliarmi con le persone proprio grazie alla scrittura. Ho viaggiato indietro nel tempo. Il processo di scrittura è stato ovviamente molto doloroso ma mi sono anche divertita perché ho rivissuto dei momenti belli, con i miei nonni, con i miei amici. Sono felice che Gabriele mi abbia supportato incondizionatamente. C’è chi investe nella finanza o nel mattone, lui mi ha detto di aver investito in una potenziale scrittrice!”, dice ridendo di gusto insieme al marito. Con “More Than One Child” Shen Yang dice addio alla sua infanzia e addio a un’era. Uscendo finalmente alla luce dopo un viaggio oscuro durato trent’anni, si riprende il suo vero nome. E sé stessa.